stilo con stile

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giovedì 3 luglio 2014

Ricomincio da me. Ma quale ottimismo?! Il dramma della disoccupazione dopo gli “anta” e uno Stato assente.




Più di trent’anni nel cuore della stazione Termini di Roma, dove ne ha viste di tutti i colori, dove forse ha imparato a vivere e a guardare oltre l’ostacolo delle differenze culturali e di tanto altro, per questo come ama ripetere ha imparato a “guardare oltre e basta”. Luigi ha 53 anni e per tre decenni ha lavorato in una rosticceria del quartiere Esquilino, epicentro multietnico della città, che in particolare a cavallo tra gli anni 80 e 90 è stato anche crocevia di un degrado sociale tagliato su misura in tutte le zone limitrofe alle stazioni dei treni cittadine.

Luigi alla giacca e alla cravatta ha scelto di indossare il suo gilè nero e il grembiule, alla scrivania ha preferito il “tosto” bancone di una rosticceria su strada, senza mai rimpiangere l’occasione della vita in una banca del nord che ricorda sempre con piacere come “un’esperienza di vita” ma
che “in quei giorni dei colloqui a Milano” lo aveva portato a pensare che il “grigiore di quelle stanze e di quei signori” non avrebbero fatto per lui. La vita lo ha accontentato, forse presero qualcun altro “con spinte forti” pensa ancora oggi Luigi. Da lì, dal freddo degli ambienti bancari per lui si aprì il mondo “del banchista tutto fare” a tu per tu con la strada della rosticceria di famiglia. 
Lo zio lo chiamò per dare una mano, una mano che alla fine diventarono due e che in poco tempo si trasformarono per Luigi in un lavoro a tempo pieno. Certo era dura, 12 ore al giorno in piedi spesso con le porte aperte da dove entravano freddo e caldo a secondo delle stagioni e questo poco male, ma soprattutto dove ricorda in particolare di aver visto di tutto e con un sorriso amaro di aver “servito lasagne, pizza e i nostri ottimi supplì anche spacciatori, prostitute, trans e magari a qualche assassino”.


Quel bancone è stata la sua vita, i negozianti di zona lo conoscono tutti e quando è “sparito quasi all’improvviso” tutti pensavano addirittura che avesse vinto alla lotteria di Capodanno, anzi a Termini ne erano convinti. Luigi non era sparito né scappato con il malloppo di una lotteria che non ha mai vinto, Luigi aveva perso “solo” il lavoro dopo 30 anni di sorrisi e tanto sudore dietro quel bancone vicino alla stazione. L’attività fu ceduta a dei cittadini del Bangladesh che d’accordo con lo zio avrebbero garantito al nipote di proseguire il suo lavoro nella rosticceria. E se “la vita è tanto strana, ma tanto strana” come ama ripetere Luigi, quella fu un’altra occasione che avrebbe dimostrato la sua tesi. Dopo sette anni e mezzo dalla cessione dell’attività, i nuovi proprietari “decisero” di non potersi più permettere Luigi, quindi arrivò il preavviso e la lettera di licenziamento. Una bella batosta per un uomo di oltre 50 anni con 30 anni di lavoro alle spalle che gran parte dei giorni della sua vita li aveva consumati dietro quel bancone. Una batosta emotiva e un tracollo per le tasche. Luigi ci tiene a ricordare che “con i ragazzi del Bangladesh c’è ancora un ottimo rapporto e che tutto è stato regolare” ma certo lui è solo l’esempio di quello che sta succedendo nel nostro Paese di cui sempre troppo poco si parla.

Dopo la scoperta della parola esodati che è stata sulla bocca dei nostri politici forse per un semestre e che ha regalato titoli ai quotidiani nazionali, ora l’emergenza sembra rientrata, ma non è certamente così. Di esodati e disoccupati in fascia adulta se ne parla poco, molto poco, eppure è una piaga per l’Italia, se sei fuori dal mercato del lavoro dopo i 30 anni è un “casino” figuriamoci dopo i cinquanta.

Intanto Luigi sorride, è appena uscito da un corso professionale che sta seguendo per imparare a fare caffè e cappuccini. Dopo due anni di fermo totale, curricula inviati a “destra e a manca”, richieste di lavoro in ogni dove e naturalmente nessuna risposta, Luigi si è rimesso in gioco. A 53 anni lo aspetta una nuova avventura e di nuovo un bancone, questa volta di un bar, questa volta del suo Bar che insieme al cognato anche lui disoccupato hanno deciso di aprire tra mille sacrifici. Nulla è certo ma il coraggio non gli manca, ricominciare è sempre difficile ma spesso obbligatorio, è la vita che ce lo chiede.
E se molti dei nostri premier che puntualmente si susseguono, parlano di “ottimismo” dovrebbero guardare invece a Luigi e a tanti altri che con l’ottimismo ci si sono sporcati le mani concretamente senza proclami, e per questo devono essere almeno raccontati. Luigi si sente un privilegiato e sicuramente riemergerà con le sue forze e con quelle delle sua famiglia, ma in ogni caso da solo, senza uno “Stato” che lo abbia tutelato, senza un Paese che lo abbia supportato. E tutti gli altri?!!

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